Il biglietto da visita: una storia lunga 400 anni

I biglietti da visita: la storia 

Per alcuni risale al ‘500, quando gli studenti tedeschi dell’università di Padova, usavano dei cartoncini con vignette e simboli araldici da lasciare agli amici e ai professori prima del ritorno in terra germanica. Per Carlo Goldoni l’origine del biglietto da visita si deve ai francesi. 

1731 Polizza col nome

A Firenze usava lasciare una polizza quando si andava a visitare qualcuno che non era a casa. Si lasciava questa polizza dove è scritto il nome di chi era passato. 

1750 Vezzi costosi

All’epoca, chi voleva farsi annunciare all’ingresso di casa, lasciava alla servitù un bigliettino su cui scriveva il proprio nome. Il biglietto veniva sempre inserito in un portafoglio, in un astuccio, in un vezzo qualunque; questi vezzi spesso erano in oro o argento, tavola addirittura adornati da pietre preziose a seconda della ricchezza del visitatore, e del bisogno che aveva di rendersi gradito e d’imprimersi bene nella memoria di chi voleva visitare.

1755 Invenzione francese

Carlo Goldoni scrive a proposito degli antenati dei biglietti da visita, asserendo che fossero un’invenzione eredita dalla Francia

1877 Donne francesi senza nome di battesimo

In Francia le carte di visita di una signora non portano mai il suo nome di battesimo. Esse si chiamano la signora Emilio di Girardin, la signora Vittorio e la signora Carlo Hugo. I loro galatei si espandono di ammirazione di fronte a questa trovata; secondo loro è l’ultima espressione del decoro, perché il nome di battesimo di una signora non deve esporsi ad essere conosciuto dai profani. Ma, se Dio vuole, non è ammesso dai nostri costumi. (Marchesa Colombi, «La gente per bene»)

1895 Per le signorine: solo dopo i 25 anni

L’uso dei biglietti, o meglio delle carte da visita, è esclusivo alle signore maritate ed ai signori; una signorina scrive, sotto il nome della mamma, tutte le volte che il bisogno lo richiede: «e figlia».

A venticinque anni potrà avere le sue carte da visita; ma quante signorine avranno il coraggio di confessarli? (Camilla Buffoni Zappa, «Come si vive nella buona società»)


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